Il successo della coltivazione della vite in Europa è legato ai continui scambi di materiale vegetale, piante, semi, tralci che hanno varcato confini e solcato mari da almeno 7.000 anni.
Le popolazioni europee hanno selezionato, addomesticato, diffuso, incrociato le viti in relazione alle proprie esigenze nutrizionali, climatiche e culturali.
Le vicende che accompagnano la circolazione delle diverse varietà di uva, grazie alle moderne analisi del DNA, si sono rivelate alquanto multiformi, nonché ben più complesse di quanto si potesse ipotizzare prima dell’evoluzione scientifica. Le mappe della migrazione della vite si sono storicamente sovrapposte a quelle degli spostamenti umani, all’insegna di una fluida e continua ibridazione.
Questo inesorabile moto ha portato a collezionare nel nostro continente circa 10.000 specie di Vitis vinifera, sebbene solo alcune abbiano un significato commerciale per la produzione di vino e uva da tavola.
Alla luce di un quadro così intricato la parola “autoctono” perde progressivamente il suo significato letterale. Non è più possibile, infatti, riferire tale termine ad un semplice elemento spaziale, occorre che l’analisi venga ampliata comprendendo anche e soprattuto il fattore temporale, attribuendo il valore di autoctonia al “luogo dove una determinata uva ha manifestato nel tempo le sue migliori caratteristiche varietali” Questa lunga storia di tipicità, di flussi che dall’Oriente incontrano i vitigni selvatici addomesticati localmente, ha condotto il nostro paese verso un record di biodiversità, con ben 642 vitigni di uva da vino iscritti al Registro Nazionale delle Varietà di Vite, di cui i primi dieci per estensione di vigneto occupano soltanto il 35% della superficie vitata nazionale, mentre nel mondo i primi 10 vitigni coltivati occupano il 50% del totale. Una tipicità ricca di potenziale produttivo e comunicativo, ma soprattutto custode di un inestimabile patrimonio culturale, principale punto di forza del comparto vitivinicolo italiano.
E dove è più alta la variabilità, maggiori sono le potenzialità globali dell’intera specie, in risposta all’erosione genetica che, di contro, riduce la possibilità di sviluppo armonico e stabile di un ecosistema. Il nemico numero uno della diversità varietale si chiama “omologazione del gusto” ed è diffuso a carattere mondiale come tendenza all’allineamento del palato verso stili standardizzati, prevedibili e rassicuranti. L’azione di promozione culturale, sensoriale, esperienziale di Journey in Italy si muove nella direzione opposta a tale massificazione, e nell’esaltazione dell’unicità detta il proprio manifesto. La cultura enogastronomica italiana varca i confini fisici e mentali del nostro paese, oggi come allora.